SIC Intervista: Flavio Farroni ci fa entrare nel mondo di Megaride

Chi è Flavio Farroni

Flavio Farroni, CEO di Megaride – applied vehicle research – è consulente accademico in dinamica dei veicoli per diverse aziende e team di corse. Ricercatore di Meccanica Applicata presso UniNa, il suo lavoro si concentra sullo sviluppo di modelli di interazione che tengono conto dei fenomeni di attrito e termodinamica nel campo della meccanica di contatto per l’ottimizzazione delle prestazioni di presa a secco e bagnato. È stato premiato durante il TTexpo2015 come “Giovane scienziato dell’anno”. Il team di Stretto in Carena ha avuto l’occasione di incontrarlo e porgli qualche domanda. Riportiamo qui l’intervista che ci ha offerto un grosso stimolo per continuare il nostro progetto:

L’essere stati su ogni giornale sportivo (e non solo), subito dopo la vittoria della Ducati e il ricorso delle altre case costruttrici, che riscontri ha avuto in termini di visibilità?

Sicuramente una grande felicità per MegaRide. D’altronde sono come uno di voi: qualcuno che sta provando a fare qualcosa. Quindi immagina tra due anni di trovarti sui giornali, immagina la felicità: è emozionante. Inoltre ci dà consapevolezza che il progetto è diventato qualcosa di serio e di vero, e ci fa capire che facciamo effettivamente parte dell’ecosistema Motorsport. Diciamo che la conversione in termini di marketing è stata immediata.

In che modo collaborate con Ducati?

Noi forniamo a Ducati un software che si occupa di monitorare, analizzare e predire il comportamento termico degli pneumatici. Loro quindi possono sviluppare tutta la carena e le appendici aerodinamiche basandosi su ciò che l’output del nostro modello fornisce.

Ho visto che avete del personale proveniente dall’Apple Accademy, è stato un punto chiave avere questi Developers ai fini del vostro sviluppo? Più in generale, qual è stato il punto chiave che ha lanciato il vostro sviluppo?

Abbiamo una serie di progetti con la Apple Accademy, ed uno di loro progetta con noi fin dal primo giorno. Da un punto di vista territoriale è stato un punto chiave l’avere l’Apple Accademy. Sostengo infatti che è essenziale avere la possibilità di trovare persone che vengono da parte di tutto il mondo e che svolgono mansioni differenti, con cui però può nascere una fantastica sinergia. Essendo poi un team piccolo, il peso del singolo può far tanto, e può cambiare la vita del progetto che stai portando avanti.

Che altre collaborazioni avete in questo momento?

Siamo un gruppo di ricerca accademico, ma abbiamo anche uno spin-off: il gruppo di ricerca collabora con tantissime aziende, fra cui Ferrari, per cui ho fatto anche il dottorato di ricerca. Lavoriamo con Maserati, Pirelli, Prometeon e con altri clienti che ci stanno aiutando a creare un mercato più ampio, che va oltre il Motorsport ed arriva fino a mondo automotive commerciale. Tutto ciò però è avvenuto grazie ai percorsi che tutti noi in azienda abbiamo costruito, soprattutto singolarmente, tramite dottorati di ricerca, creando un legame che poi è andato via via rafforzandosi con il passare del tempo.

Dalla formula di Pacejka come siete arrivati ai vostri algoritmi, è stato un percorso più sperimentale o teorico?

La formula di Pacejka non è l’unica che esiste, ma è la più “semplice” e trasversale che esiste nel mondo dell’automotive. E’ una formulazione analitica che racchiude tantissimi parametri e va a descrivere l’interazione dello pneumatico con la strada. Lavorandoci, ci siamo accorti che effettivamente mancava qualcosa: infatti la formula non tiene conto della temperatura, che è una variabile fondamentale. E’ stato un approccio sia sperimentale, perché abbiamo molti dati che arrivano dai partener di ricerca su cui mettere mano, ma anche analitico, tramite lo studio a diversi livelli della formula di Pacejka. Ovviamente le due cose vanno di pari passo, perché man mano che si studia la formula, si ha bisogno di vedere se quello che si è scoperto coincide con la realtà.

Il fatto che i giornali abbiano parlato di arma segreta non ti fa un po’ pensare al fatto che ci vorrebbero più aziende come Ducati che cercano sempre l’evoluzione e scovano le piccole aziende innovative come le vostre?

Il termine segreto viene dal fatto che avevamo dei vincoli di esclusiva con il team e non potevamo parlare di queste attività. Adesso questi avvenimenti hanno sbloccato questa situazione e riusciamo a parlarne molto più agevolmente.

Cosa ne pensi della Motostudent?

Pensi possa aiutare gli studenti per avvicinarsi al mondo del lavoro?
La motostudent è una “chiave di volta”: ogni giorno voi state scoprendo tanti segreti. Lo sporcarsi le mani con tutto ciò che fate rappresenta “andare fuori a creare know-how”.
Un esperto è qualcuno che ha fatto tutti gli errori possibili nella sua attività: voi adesso state facendo un sacco di esperienza, di errori. Tutto ciò sta già facendo nascere in voi la consapevolezza che ci sono un sacco di trucchetti, segreti, informazioni vitali. E poi state facendo tanta ricerca, che è quello che crea effettivamente del valore, soprattutto qui al sud.

Secondo te che tipo di preparazione serve ad un ingegnere in questo momento? Per esempio, per lavorare in azienda con voi?

Resto fermamente convinto che il contesto italiano faccia ottima didattica; per quanto ci lamentiamo del fatto che all’estero facciano tanta pratica, io resto convinto che ciò che noi proponiamo è qualcosa di molto solido. L’affrontare le cose in maniera molto teorica, con esami scritti e orali, è profondamente formativo. Quello che poi serve è un’esperienza iper-focalizzata. Quindi al termine dei cinque anni, un’esperienza di tesi e tirocinio in partnership con le aziende, ti dà quel livello di praticità e approfondimento tale che possa considerarsi una vera e propria esperienza lavorativa. Ci terrei quindi che tutti quanti portassero del valore pratico al termine degli studi, ma questa deve anche essere volontà dei ragazzi.

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